
Leonardo Filippini
09/10/2016
Diplomatosi a Firenze presso il liceo artistico, nel settore dell'illustrazione, attualmente studia editoria per ragazzi all'Accademia NEMO.
Da sempre appassionato e autore di poesie, negli ultimi anni ha intensificato l'attività arricchendola di partecipazioni a concorsi e a premi letterali.
Leonardo Filippini ha all'attivo una raccolta di poesie dal titolo "Brace" ed una sua poesia Perduto ramo di pino è stata rappresentata a teatro dall'attore Matteo Zoppi.
Due sue creazioni, Uomo e Veli, ispirate dall'arte del pittore Luca Di Castri, sono state recitate dallo stesso autore in occasione del Finissage della mostra "spazivirtuali".
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VELI
Movono nella notte veli, di realtá socchiuse
in scrigni d'ambrate dimore.
pingendo sagome
d'una verità nascosta,
intimamente sincera,
uomini nudi si fanno attori, sullo sfondo delle loro vite,
di lettere,
d'amore,
di musica,
scivolan i veli dai sontuosi paneggi.
stingendo la tenebra
acquattata sui tetti, fra le tegole,
in tiepida alba
spirando sospiri di vespro e profofondo disio.
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UOMO
volai,
ove nessuna creatura poteva,
vidi sogni visionari
di cristallini mondi.
bussai alle porte del cielo che intesseavan la notte con fili di nubi.
vibravan le corde della lira divina.
musicando i sogni,
d'un uomo baciato,
dalla luce.
l'uomo pose mano
sulla bianca tela, svelando natura.
Natura d'essenza sognante,
aulente terra.
volai negli occhi di un uomo che tratteneva il temporale.
Aprii le sue palpebre.
lacrimo sincera commozione.
per l'infinita da lui percorsa.
la strada era lunga,
ma avrebbe dipinto.
È un certo rapporto tra uomo e natura che compare fortemente nelle poesie di Leonardo Filippini, di quella natura che si manifesta in tutta la sua potenza e verità, con i suoi silenzi colmi di attese ma anche di indifesa bellezza, con le sue sorgenti vitali destinate a divenire nubi addensate.
Ci racconta del tempo che passa, segnato dal rito delle stagioni o dall’alternanza tra luci dell’alba e ombre della sera ma anche di pioggia e diluvio; o della meraviglia, che diviene severa contemplazione del creato.
L’uomo, ci dice il poeta, da questo confronto con la natura non può che accettare, pur con qualche sommessa ribellione, il limite del proprio corpo, la fragilità del respiro, quell’alternanza tra odio e amore che si fa dolore, quel definitivo richiamo alla terra dove andranno a posarsi braci di fuochi ormai spenti.
Ciro Inserra